Prima del “Foggia dei Miracoli” di Don Pasquale, c’era un altro Foggia: quello “dei foggiani”, una famiglia. Era il Foggia di Domenico Rosa Rosa, industriale napoletano che dal 1962 assunse la presidenza del club, guidato dall’allenatore Oronzo Pugliese.
L’impresa, la Serie A in appena due anni; un club che il 31 gennaio 1965 sconfisse per 3-2 la grande Inter di Helenio Herrera, campionessa del Mondo, chiudendo la stagione al nono posto in classifica. Un club passato dalla provincia a far tremare i grandi.
Abbiamo intervistato il figlio del presidente Rosa Rosa, Gioacchino, foggiano acquisito e scrittore, per farci raccontare il Foggia di suo padre.
– Mezzo secolo fa, o qualcosa in più; qual è il primo ricordo che hai dell’ormai tua città?
”Sono nato a Napoli il 31 marzo del 1955. Mio padre già si era trasferito qui da alcuni anni dove aveva aperto un deposito di legnami e materiali da costruzioni prima a Manfredonia e poi anche a Foggia. Si era trasferito che era ancora scapolo ma fidanzato con mia madre, figlia della Farmacista di Praia a Mare, in Calabria, che aveva conosciuto nell’immediato dopoguerra quando la sua famiglia acquistò il diritto di disboscare una montagna per trarne il legname indispensabile per la ricostruzione delle città distrutte dai bombardamenti. Mio padre aveva reclutato tutto il paese come tagliaboschi e viveva sui monti con loro. Scendevano il sabato sera in paese e mio padre abitava da un’affittacamere di fronte a casa dei miei nonni. Trasferitosi a Foggia, papà abitava all’Hotel Cicolella e lì strinse un forte legame con quella famiglia. Quando si sposò si trasferì in via Bruno, in fitto, al terzo piano di una casa che affacciava sul vecchio corso Vittorio Emanuele, ora zona pedonale. Mia madre partorì a Napoli e poi, dopo un po’ tornammo a Foggia. Il mio primo ricordo è vago ma risale proprio all’epoca in cui mio padre, che era stato vice presidente dello Stabia (la squadra di Castellammare di Stabia dove era nato) iniziò a seguire il Foggia come dirigente, anzi credo vicepresidente. Se non sbaglio il presidente era un certo Piccapane. Mio padre andava in trasferta e per farsi perdonare dei fine settimana passati lontano dalla famiglia alle volte mi portava qualche regalino. A quell’epoca abitavamo, sempre in fitto, a via zara. Sullo stesso pianerottolo nostro c’era una sarta, la signorina La Gatta, già anziana allora, alla quale mi ero molto legato. Ero a casa sua quando mio padre mi portò, da Cremona, mi pare, dei soldatini bellissimi che ad averli oggi forse varrebbero qualcosa. Ho vissuto spesso a Napoli, dove ho fatto il primo superiore, parte dell’università e dove ho lavorato fino a trasferirmi definitivamente a Foggia quando ho deciso di sposarmi con Giovanna, mia moglie”.
– Ricordi il momento in cui tuo papà ti parlò di aver preso il Foggia? Cosa pensasti?
“Non ricordo il momento preciso. Ricordo che all’improvviso la nostra vita fu travolta da questa presidenza, da giocatori, allenatori, tifosi. Non si parlava d’altro e papà era impegnato fortemente nell’impresa di portare quella squadra di provincia in serie A. E ci riuscì. Per farti capire come eravamo coinvolti quando una signora venne a farci visita e chiese a mia sorella Daniela, di sette anni, “e tu bella bambina a chi sei figlia” le disse innocentemente “sono la figlia del Foggia“.
– Qual è invece il primo ricordo del Foggia Calcio che ti sovviene?
“Io con mio padre a San Michele. Papà aveva una fissazione che in parte era riuscito a realizzare: che la squadra del Foggia fosse composta da Foggiani. Tutto avrebbe avuto più senso. E cercava giocatori non solo professionisti ma anche dilettanti nei vari campetti nella provincia”.
– Che Foggia era quello di Rosa Rosa?
“Una famiglia. Mio padre non voleva star. Preferiva un gioco di squadra che i solisti prestigiosi. E per i giocatori era un secondo papà. Ha aiutato molti di loro a fine carriera. Tutti prendevano lo stesso ingaggio, lo stesso stipendio, nessuna eccezione. Ma per quelli un po’ più malmessi economicamente, per quelli che pensava che avrebbero avuto difficoltà a fine carriera faceva per loro dei libretti di risparmio in segreto. Libretti che avrebbero ricevuto a fine carriera e che gli avrebbero consentito di aprire una piccola attività o metter su famiglia”.
– Storia e tradizione legano Napoli e Foggia, una tradizione nata proprio con Rosa Rosa e terminata con Casillo?
“Napoli e Foggia sono legate da un vincolo stretto quasi millenario risalente a Federico II. E più tardi noi eravamo i “cafoni di foggia” perché qui i nobili napoletani erano diventati latifondisti. Qui si è spostato il 28 giugno del 1797 il figlio del Re di Napoli Francesco di Borbone con Clementina D’Austria e sempre qui Gioacchino Murat istituì la prima camera di commercio del regno. Molti foggiani studiarono a Napoli e molti vi si traferirono compreso il Principe di San Severo, alchimista misterioso, noto per l’omonima cappella ove è conservato il Cristo Velato. Certo poi ci sono i legami calcistici di Rosa Rosa e Casillo, ma è solo la coda di una lunga storia di scambio culturale, sociale ed economico”.