Analizzando questa vicenda, sembra un po’ che Bakayoko abbia esagerato. Tutto è cominciato quando, durante un’intervista, Acerbi ha detto la sua dicendo che secondo lui – tra Lazio e Milan – “Nei singoli non c’è paragone”.
Bakayoko allora aveva replicando dando “appuntamento a sabato”. Fin qui la cosa ci sta. Un po’ di sfottò ha sempre caratterizzato il calcio già dagli anni ’90, figuriamoci nell’epoca dei social. Ecco, spesso proprio i social ci lasciano confondere la linea che separa il mondo virtuale da quello reale. Perché lo sfottò, quello divertente e sano, finisce nel momento in cui – in campo – in diretta e davanti migliaia di tifosi (compresi moglie, figli, parenti e amici), si deride un calciatore. Si umilia il suo nome, la sua maglia, il suo numero. La sua identità.
Senza contare che Acerbi aveva poi fatto un passo indietro prima della gara: “Non mi interessano le parole, non volevo mancare di rispetto a nessuno“. Quella maglia l’aveva scambiata proprio per fare pace, per scusarsi se aveva detto qualcosa di azzardato, per poi vedersela sbandierare sotto il naso, si è sentito umiliato e tradito: “Sono dispiaciuto perché ho scambiato la maglia per mettere fine alla questione, fomentare odio non è sport ma un segno di debolezza”.
Sui social i tifosi sono divisi e se molti sono dalla parte di Acerbi, qualcuno gli punta il dito contro dicendogli “hai cominciato tu”. Può darsi. Ma una cosa è sicura: dato che alle prime parole di Acerbi, sulla qualità dei singoli, si è risposto coi fatti sul campo, possiamo dire che ieri sera il Milan poteva evitare un gesto di così basso livello per una squadra con una grande storia. Da San Siro è tutto, linea allo studio.
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