Lunga intervista della Gazzetta dello Sport a Sinisa Mihajlovic che proprio oggi compie 50 anni. Inevitabili alcuni passaggi riguardanti il suo passato nell’Inter e l’orrore della guerra: “Le guerre, tutte le guerre, fanno schifo. Ma quella fratricida che abbiamo vissuto noi nella ex Jugoslavia è quanto di peggio possa capitare – ricorda il tecnico serbo del Bologna – Amici che si sparavano tra loro, famiglie disgregate. Ho visto la mia gente cadere, le città distrutte: tutto spazzato via. Il mio migliore amico ha devastato la mia casa. Mio zio, croato e fratello di mia madre, voleva «scannare come un porco», disse così, mio padre serbo. Fu trovato dalla tigre Arkan, stava per essere ucciso, gli trovarono addosso il mio numero di cellulare, gli salvai la vita.. [..] Dovranno passare due generazioni prima di poter giudicare cosa è accaduto. È stato devastante per tutti“.
“La carriera da calciatore è stata unica: la Champions, gli scudetti, le vittorie.. Forse potevano essere di più e mi chiedo se giocassi oggi quanto potrei valere. Ma dal pallone ho avuto tanto. Sono felice così. I derby? Quello di Belgrado non è paragonabile a nessun altro, è molto di più di una partita. L’atmosfera del Marakanà è qualcosa che non si può spiegare. Quello di Milano è la nobiltà del calcio. A Roma è sfottò tutto l’anno: ai miei tempi la Lazio era un album di figurine: solo in difesa io, Stam, Couto, Nesta… In attacco la Roma aveva Totti, Batistuta, Montella e Delvecchio. Auguro a Roma di rivedere tutti insieme giocatori così. A Genova le coreografie più belle. A Torino vibra la voglia granata di ribaltare le gerarchie“.
Infine, sui presidenti e sulle panchine. “Il calcio mi ha permesso di conoscere un’infinità di personaggi. Politici, artisti, attori… E ho avuto come presidenti figure che hanno segnato la storia politica ed economica italiana. Berlusconi resta un personaggio incredibile, ma lo avrei voluto presidente 15 anni prima. L’epopea di Cragnotti si intreccia con una fase dell’Italia che poi è finita nei tribunali, io conservo l’immagine di un uomo che fece della Lazio un Luna Park per i tifosi. Moratti un signore come non se ne trovano più. La Juve mi chiamò l’ultimo anno di Conte, andai nella residenza degli Agnelli con Marotta e Nedved. Era tutto fatto. Ma alla fine Conte decise di restare. Salvo dimettersi due mesi dopo. Io ero rimasto alla Samp e a Torino è andato Allegri… L’Inter negli anni l’ho sfiorata così tante volte che ho perso il conto“.
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