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Ciro Immobile se ne va come uno che ha difeso la Lazio da vero capitano

Ciro Immobile se ne va. Saluta con educazione. Con rispetto profondo. Merita un tributo da re. Lo hanno incoronato i suoi tifosi. Il trono però non lo rappresenta. Ciro non è stato un monarca. È stato “appena” un laziale. Che incarna l’animo della sua gente. Il popolo biancazzurro non è migliore o peggiore di altri. Semplicemente, è diverso! Il laziale è da sempre politicamente scorretto. Non è prono al potere. Ha lottato in maniera pure sgrammaticata. È un vincente che ha perso ripetutamente. Nel palmo della mano porta le stimmate dell’unicità. Non si è piegato ai voleri di chi pensava di mischiarlo con l’altra sponda, di fonderlo d’ufficio per creare un’unica armata in nome del più buio assolutismo dittatoriale. Il laziale se ne frega delle convenzioni. Scende in piazza, schiuma rabbia se gli viene negato il diritto di sognare. Che è poi il minimo garantito dalla costituzione “pallonara”!

Ciro è stato questo per la Lazio. Duecentosette reti. Spesso svilite, quasi occultate dai media. «Però, ma, per la verità…», una pletora di “avversativi” ad animare gli ideologici focus sui suoi presunti fallimenti in Nazionale. Quelli organizzati dai cantori del nulla, gli stessi che oggi piangono lacrime amare e salgono sul carro dei fustigatori. Ciro non è mai stato raffinato. Non vede calcio ma solo spazi in cui tuffarsi. Luis Alberto e Milinkovic-Savic lo sapevano e lì lo pizzicavano valorizzandone l’inarrivabile senso del gol. In campo, non leggeva i «classici dell’evoluzionismo tattico», quelli che tanto piacciono ai commentatori di nuova generazione. I suoi movimenti erano istintivi. Come le coreografie del popolo laziale, come il “flash mob” per tenere a Roma Beppe Signori. Come le marce a volte – magari – pure esagerate, ma sempre e comunque dettate dalla passione!

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Ciro Immobile, crediti: frame da video di presentazione del club Beşiktaş JK

Ciro Immobile e ne va, ma non è un re: è la sua gente

Dall’amore di chi ha eletto i ragazzi del ’74 espressione di lotta contro il sistema! L’amore è lo stesso sentimento che Ciro nutre per la Lazio. L’ha difesa da capitano vero. Senza paura! Non ha mai stoppato con l’eleganza di Benzema, né accelerato con la scioltezza di Mbappé. S’ingobbiva e si sfiniva azzannando avversari. Lavorava come un umile servo della gleba. Non si adagiava sul suo scranno da Re. Ciro non è un Re. Ciro è la sua gente. È l’abbraccio di un laziale al suo bambino quando entra per la prima volta all’Olimpico… di padre in figlio! Ciro è la famiglia. Quella biancazzurra si compatta nelle difficoltà.

Ciro sarebbe salito di corsa su una macchina sgangherata per vedere gli spareggi di Napoli. Per esultare alla zuccata salvifica di Fabio Poli! Ciro non è banale! Poteva andare in Arabia, è finito in Turchia. Ma non nel Fenerbahçe o nel Galatasaray, le due regine. Troppo scontato. Giocherà nel Besiktas, club tutto cuore e grinta, la terza forza a Istanbul. Sbarcherà lì a regalare gli ultimi scampoli di una professionalità pervicace. Scatti e controscatti. Sempre con il sorriso. Porterà sul Bosforo la sua “lazialità” non la regalità! Perché Ciro non è un Re, è appena uno che ha il Dna del popolo laziale! Valeu, Ciro.

Articolo a cura di Gianpaolo Limardi

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