Nella sua autobiografia, “Fuorigioco – perde solo chi si arrende”, Beppe Signori ha raccontato diversi aneddoti, tra cui quello di quando fece incidente sulla strada tra San Severo e Apricena in provincia di Foggia.
“È l’inverno del 1991 e con la mia auto sto percorrendo la San Severo-Apricena, in provincia di Foggia. Piove a dirotto, l’asfalto è bagnato, la strada è piena di buche che sono diventate pozzanghere, sto andando da un amico” – racconta.
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“Mentre guido rilassato e senza fretta improvvisamente la macchina slitta sull’asfaltato, scarta di lato, colpisce e si impenna contro il muretto laterale per poi capottare: otto capriole consecutive al termine delle quali finisce in un vigneto dove abbatte mezzo filare. Chiudo gli occhi” – continua il suo racconto.
“Sembra un’esecuzione, una serie di frustate secche, un colpo dopo l’altro, mi sento spingere a destra e a sinistra, ma ho la cintura ben allacciata, resto saldo sul sedile e non lascio mai la presa sul volante, stringendolo forte fino a farmi male ai polpastrelli” – continua.
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“Per fortuna indosso la canottiera benedetta da Padre Pio che mi ha regalato mia madre. La macchina è un rottame di lamiera accartocciato su se stesso. Non ho neppure un graffio. Nulla. Mi tocco il viso, il collo, il busto, le gambe cazzo, le gambe no, nemmeno i miei strumenti di lavoro hanno subito danni. Tiro un sospiro di sollievo” – svela Signori.
“Penso a mia madre. Mia madre e il suo regalo che anni fa, quando l’ho ricevuto, mi era sembrato un gesto un po’ fanatico, ma che ora benedico con tutte le lacrime che i miei occhi sono in grado di produrre. Ho visto la morte in faccia. Ho avuto paura ma sono ancora qua” – continua.
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“Esco dall’auto. Sono frastornato, confuso. Una macchina si ferma e due persone mi si avvicinano, mi chiedono come sto. Sto bene. ‘Ma tu sei Beppe Signori?!’ fanno quelli. Poi vedono la mia auto, un cartoccio impressionante, mi guardano strabiliati e increduli che io sia uscito vivo e illeso da quelle lamiere, ed esclamano ciò che penso
anch’io: «Sei un miracolato!»”
“Torno a casa ancora scosso, mi tolgo giacca, maglione, camicia e canottiera, e mi metto a guardare quell’incredibile amuleto. Da quel giorno, ogni singola benedetta partita che ho giocato l’ho indossata sotto la maglia. Se la mia carriera è andata com’è andata lo devo anche a lei. Se non altro per la fiducia in qualcosa di più grande che mi ha sempre infuso. So che per alcuni è una stranezza. So che tanti pensano che sia solo superstizione, ma io ci credo e continuo a crederci” – conclude.
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