La sua numero 10 è stata, senza alcun dubbio, una delle maglie più importanti del panorama calcistico italiano. Stiamo parlando di Evaristo Beccalossi, fantasista ricordato soprattutto per la sua carriera all’Inter, che ha fatto del dribbling il suo marchio di fabbrica (al punto da guadagnarsi il soprannome di “Dribblossi”).
Oggi lo riscopriamo grazie la brillante penna della giovane giornalista Eleonora Rossi che, in queste duecentocinque pagine, ci fa prendere un caffè con l’ex Inter il quale, svestita la maglia nerazzurra, ci racconta in una piacevole chiacchierata la sua vita e quel nostalgico calcio nobile d’un tempo, così distante da quello cui siamo abituati a vedere oggi.
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Beccalossi si racconta in “La mia vita da numero 10”
“La mia vita da numero 10”, edito da Diarkos, è un libro da leggere tutto d’un fiato, dall’inizio alla fine. Il protagonista si racconta in prima persona, la penna di Rossi – dalla grande capacità descrittiva – è in grado di trasportarci in luoghi e tempi della vita del campione: dal campetto dell’oratorio a San Siro, a colpi di tacchetti sulle scale, sentendo l’erbetta bagnata sotto i nostri piedi e i cori dei tifosi sugli spalti.
Carriera, emozioni e ricordi, compagni di squadra, quelli dell’Inter del dodicesimo scudetto (1979-1980) ma anche il lato umano di un ragazzo ribelle amante del ciclismo e delle corse automobilistiche. Ingredienti che faranno di questo libro la ricetta perfetta degli amanti del calcio e dello sport in generale. Perché gli aneddoti raccontati da Beccalossi in persona, sotto la trama tracciata dalla creatività di Rossi, fanno del testo una fonte di piacevoli cronache sportive oltre il rettangolo di gioco.
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Eleonora Rossi: “Nessuno come lui, era imprevedibile”
“La mia vita da numero 10” è una biografia che non sembra una biografia: è un romanzo dove il protagonista vi farà sentire parte del viaggio. Ben scritto, scorrevole alla lettura, si lascia sfogliare con estremo piacere. Il racconto è poi adornato da foto originali a colori che catapultano il lettore indietro nel tempo.
Eleonora Rossi, classe 1996, ha deciso di vivere di parole e di fare delle passione per la narrazione una mission di vita. Abbiamo deciso di farle un paio di domande per comprendere meglio il lavoro dietro queste pagine.
Eleonora, cos’hai provato nel raccontare un calcio che, oggi, non esiste più?
“Per me, come giornalista e come persona, è stato un grande regalo perché potermi confrontare con un calciatore con cui ho esattamente quarant’anni di differenza, io classe ’96 lui classe ’56, è stato un regalo perché mi ha permesso di fare una sorta di viaggio nel tempo, di sentire il diretto protagonista non soltanto di un calcio ma anche di un’epoca che è cambiata. Sono molto grata perché per me è stato un lavoro, giornalistico e di ricerca, molto importante: anche conoscere, attraverso lui, una Milano diversa; a me è sembrato quasi la trama di un film futuristico al contrario perché io, ovviamente, non ho ricordi, essendo nata quasi agli arbori degli anni duemila. Oppure il suo racconto della Cina quando era ancora una Reppubblica Popolare. Immagini che la nostra generazione vive soltanto attraverso dei video o delle scritture, ascoltare invece un testimone che le ha vissute raccontarle mi ha arricchito umanaente”.
Secondo te, oggi, quale giocatore può avvicinarsi al Beck?
“Credo che nessun calciatore possa avvicinarsi a lui, non tanto nella tecnica e nelle giocate, quanto veramente nell’estro e nella fantasia. Lui, per me, per il racconto di quello che è un numero dieci, lui lo rappresenta veramente in un modo incredibile. Lo racconto in queste pagine, lui era capace quando era in vena di ribaltare il risultato e di guidare tutti i compagni a fare risultati straordinari. Era imprevedibile nel campo come giocatore, non si trova un altro aggettivo per descriverlo. Il numero dieci, a mio modo di vedere, è l’unico numero che continua a sopravvivere ed è anche quel numero per cui vale sempre la pena il prezzo del biglietto perché può ribaltare il risultato e si spera sempre in qualche giocata magica del numero dieci. Un numero del calcio che continua a conservare, nonostante siano passati tanti anni, la sua bellezza. Una volta si collegava il numero al ruolo, una consuetudine che oggi purtroppo non esiste più, tranne che per il numero dieci, un ruolo che continua a sopravvivere nonostante il mondo e la società siano cambiati, ma il dieci continua a sopravvivere. Oggi per me non c’è un dieci che rimane, per me le bandiere sono stati un Totti, un Del Piero, ma non vedo altri dieci adesso”.
Come è stato lavorare a contatto con un calciatore di un’altra generazione?
“Evaristo Beccalossi, oltre ad essere un grande professionista, da molto spazio ai giovani. Io so l’impegno che mette per la Nazionale Under 19 e Under 20, lui è capo delegazione da più di cinque anni e so il lavoro straordinario che fa con questi ragazzi e quanto ci tiene. Quando gli ho detto ‘Evaristo, io vorrei scrivere la tua biografia’, lui avrebbe potuto dirmi con grande serenità ‘Guardi Eleonora, preferirei affidarla ad un giornalista che ha vissuto quell’epoca’, e ci sta come cosa. Però lui punta tanto sui giovani quindi mi ha detto ‘voglio che la scrivi tu la mia biografia’, e questa è una cosa che non fanno in tanti, soprattutto in questa società di oggi che è un po’ costruita, un po’ di plastica, dove i giovani devono stare sempre un pochino in punta dei piedi e chiedere il permesso. Trovare un fuoriclasse, una persona che è un grande professionista, che dice ‘voglio la tua penna per scrivere la mia biografia’ per me è una cosa veramente da apprezzare, perché si da spazio ai giovani. Ci incontravamo, io gli facevo un sacco di interviste, gli facevo tante domande, gli chiedevo tanti dettagli. E’ stato molto disponibile, ci tengo a dirlo!”