Dittatura Juve: calciatori obbligati ad avere questa macchina | Non venivano accettati nel parcheggio

Illustrazione della maglia della Juventus (LaPresse FOTO) - lagoleada.it

Illustrazione della maglia della Juventus (LaPresse FOTO) - lagoleada.it

Alcune regole sono rigide, altre meno, ed ogni squadra e società ne adotta diverse. Ma questa del parcheggio è molto particolare.

Nel mondo del calcio professionistico, i giocatori non sono solo atleti: rappresentano un club, un marchio, un’identità. Per questo motivo, le società possono imporre regole precise su comportamento, immagine e abbigliamento.

Spesso i contratti includono clausole che obbligano i calciatori a seguire un certo “codice” fuori dal campo: partecipare a eventi ufficiali, indossare abiti del brand sponsor, evitare dichiarazioni compromettenti. 

Non si tratta solo di formalità: curare l’immagine è una questione di marketing e di reputazione. Un look sbagliato o un gesto fuori luogo possono influenzare sponsor, tifosi e media.

Chiaramente, esistono limiti: nessun club può violare i diritti personali o discriminare. Ma all’interno del contratto, se firmato liberamente, le regole valgono. E chi non le rispetta rischia multe o provvedimenti disciplinari.

Dagli spogliatoi alla vita

Entrare a far parte del settore giovanile della Juventus, specialmente in un’epoca come quella a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, significava più di un semplice percorso sportivo. Era un’esperienza formativa a tutto tondo. Non si trattava solo di imparare a stare in campo, ma anche di apprendere regole, disciplina, rispetto. 

Christian Manfredini, che ha vestito la maglia delle giovanili bianconere tra il 1988 e il 1993, lo racconta in modo chiaro durante un’intervista al DoppioPasso Podcast: sì, c’erano regole, e anche parecchie, ma mai opprimenti. Alcune erano più simboliche che severe, come la richiesta di portare i capelli corti. Altre, invece, erano molto particolari.

Illustrazione di un allenatore (Pixabay FOTO) - lagoleada.it
Illustrazione di un allenatore delle giovanili (Pixabay FOTO) – lagoleada.it

Una questione…di parcheggio

Il punto è che tutto, anche il più piccolo gesto, comunicava qualcosa. Ed è lì che entra in gioco una regola che molti oggi troverebbero curiosa: quella sulle auto. Come riportato da Manfredini a DoppioPasso Podcast, i giovani della Juventus (e i genitori, o comunque i parenti dei ragazzi), ai tempi di Manfredini, potevano parcheggiare nel posto “vicino”, ma a una condizione: arrivare con una Fiat.

Se qualcuno si presentava con una macchina di un’altra marca, niente da fare: il parcheggio era più indietro, fuori dal “giro”. Non era imposizione militare né un modo per farli sentire inferiori, anzi. Era una forma sottile di educazione al contesto, un invito ad allinearsi alla cultura del club, senza però togliere spazio alla spensieratezza. La Fiat e la Juventus sono legate storicamente perché controllate entrambe dalla famiglia Agnelli. Insomma, una regola “indiretta”.